Ruolo del bosco - Il Parco per l'alluvione

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Ruolo del bosco

Lo studio > Sintesi dei risultati
In materia di difesa del suolo, la “debolezza” dei castagneti, in confronto ai boschi spontanei, trova una serie innumerevole di ragioni. In primo luogo, si può ricordare la condizione monofitica della stessa formazione, in cui la biodiversità scende a livelli minimi anche per l'utilizzo diffuso di cultivar, cioè di cloni utili soprattutto alle produzioni legnose o di frutti, e non certo a migliorare la stabilità dei versanti. Cosa ben diversa sono i boschi misti - ad Ostrya carpinifolia ed altre latifoglie - in cui la differenziazione inter- ed intraspecifica assume un rilievo notevole, quale esito di lunghissimi percorsi evolutivi che hanno selezionato ecotipi locali, perfettamente adattati alle diverse condizioni bioclimatiche delle Apuane.
Altra ragione riguarda l'impianto degli individui arborei che, nel caso del castagno (Castanea sativa), è il risultato di pratiche agronomiche con fini produttivi, mentre per le fanerofite autoctone è l'esito di una continua e spontanea “competizione” naturale, che ha determinato, alla fine, la maggiore/migliore copertura/protezione dei versanti. A ciò si aggiunga poi il limitato ancoraggio assicurato dagli apparati radicali del castagno, con i suoi sviluppi piuttosto superficiali, per completare un quadro di “debolezza” strutturale e fisionomica della corrispondenza formazione boschiva artificiale (Bartelletti et alii, 1997).

Oltre la questione “variabilità”, i castagneti di Cardoso, Mulina e dintorni hanno anche offerto, nell'evento del 19 giugno, un minor contributo alla difesa del suolo per il preoccupante stato di abbandono colturale in cui versano. La situazione è stata senza dubbio aggravata dal sovraccarico determinato, quasi ovunque, dalla biomassa in piedi (non più soggetta alle necessarie potature), nonché dalla diffusione di necromassa [anche conseguente agli effetti del cancro corticale prodotto da Cryfonectria parasitica Murr (Barr.)]. In sintesi, si tratta di condizioni vegetative non ottimali che - di regola - limitano l'efficacia della protezione idrogeologica di questi boschi “artificiali”.

Per dare misura concreta del “peso” e del “volume” dei castagneti di Cardoso e Fornovolasco, si riportano i dati rilevati nell'area in esame, anche confrontati con i boschi misti della stessa zona. I valori medi, per ettaro, documentano qui per le aree a castagno un volume di 600 m3 (pari a circa 600 ton), mentre in quelle a carpino nero dominante si raggiungono appena 200 m3 ( 200 ton).

Ulteriore elemento di aggravio della stabilità dei versanti, conseguente all'abbandono colturale, lo si individua nel degrado storico a cui sono andate incontro tutte le sistemazioni rurali del suolo all'interno dei castagneti. Non è un fatto sconosciuto ai più la progressiva rovina che ha coinvolto, anche a Cardoso e Fornovolasco, le opere di terrazzamento dei versanti, quali lunette, gradoni, ciglioni, muretti a secco, ecc. In queste condizioni, è normale attenderci tempi di corrivazione più rapidi che non in passato, con tutte le conseguenze che tale situazione porta dietro sé.
In un articolo del 1996, Sequi individua alcuni motivi di pericolosità idrogeologica del castagneto, in assenza di cure colturali, muovendo proprio dalla analisi dell'evento del 19 giugno nell'area di Cardoso. Si conviene, rispetto all'ipotesi di Sequi, sull'effetto negativo prodotto dall'aumento della biomassa per mancanza di potature e dal progressivo deterioramento delle sistemazioni del suolo. Tuttavia, più di un dubbio emerge riguardo alla tesi della minore tenuta del castagno come conseguenza di una sua “copertura” da parte di “rampicanti” e per la concorrenza di altre piante, successivamente insediatesi nell'intorno. Non è poi chiaro - secondo le ipotesi di Sequi - come nuovi frutici e giovani individui arborei, invasivi delle aree a castagno, possano concorrere con esemplari maturi e assestati, arrivando perfino “a ridurre progressivamente l'apparato radicale” di questi ultimi. Di vero c'è soltanto che i castagni senescenti realizzano un ancoraggio radicale sempre minore, a causa di evidenti ragioni di vitalità fisiologica, all'avanzare impietoso degli anni.


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