ULTIMORA


13/05/2018
Tomaso Montanari: Conoscere il marmo e la sua storia per salvare le terre del marmo
Knowing the marble and its history to save the lands of marble. Tomaso Montanari concluded in Pietrasanta with these words the presentation of the new book “In the Lands of Marble”, published by the Park…



In una sala piena e con posti in piedi, Tommaso Montanari ha magistralmente celebrato la presentazione de “Le Terre del Marmo”, il volume edito dal Parco su scultori e scultura da Nicola Pisano a Michelangelo. Pietrasanta ha così potuto ascoltare una rara lezione di storia dell’arte, non solo rivolta al passato, ma che ha proposto rimandi e considerazioni sulla risorsa “marmo” che sono dei giorni nostri e di quelli che verranno. L’incipit non poteva non riportare l’eco delle polemiche che, pochi anni fa, hanno investito il Parco – suo malgrado, a nostro parere – nella fase finale del percorso di approvazione del Piano paesaggistico della Toscana. Montanari ne ha fatto cenno confermando la sua nota posizione critica e radicale al “modo in cui oggi consumiamo le montagne apuane e sacrifichiamo ambiente e democrazia sull’altare del mercato”. Nello stesso tempo, lo storico dell’arte ha espresso, senza remore, il consenso verso questa iniziativa editoriale del Parco, poiché da essa traspare chiara la missione propria dell’ente, ovverosia “la promozione della conoscenza scientifica e storica del territorio”.
Prendendo spunto dal saggio di Bartelletti, Amorfini, Cantisani e Fratini – sulle congiunzioni tra opera finita e territorio di provenienza delle pietre ornamentali usate a Lucca e Pietrasanta fino al Rinascimento – Montanari ha individuato argomenti utili per sostenere e spiegare la tesi dell’indivisibilità tra il paesaggio italiano e il suo patrimonio culturale. Ha altresì trovato ulteriori conferme sulla necessità di promuovere ed organizzare la ricerca storica per “contribuire alla conoscenza di un contesto in cui l’estrazione del marmo, la sua lavorazione, l’arte della scultura erano collegati in un circuito virtuoso che faceva di queste Terre molto più di un mercato, ma anzi un luogo vivissimo di scambio culturale che estendeva il suo raggio su una scala europea”.
Anche l’altro lavoro di Antonio Bartelletti, sulla nascita della scultura a Pietrasanta dopo la sua fondazione, all’interno di un determinato contesto urbano e territoriale, ha fatto ritornare alla mente di Montanari alcune pagine di John Ruskin in “Stones of Venice”, là dove lo scrittore ed artista inglese invitava a trattare il tessuto storico dell’Italia come un modello sociale e politico unitario, integrale, non dividendo lo studio delle pietre dallo studio dei suoi abitanti.
Secondo Montanari, uno dei pregi di questo volume è di aver allargato il focus della ricerca in un contesto più ampio, per meglio circondare “l’equivalenza esclusiva e morbosa marmo-Michelangelo, anzi marmo-David”. Aldo Galli lo ha perfettamente individuato nel saggio introduttivo, quando scrive: “è impressionante constatare quanti aspetti della cultura del marmo necessitino ancora di essere studiati, e più in generale quanto siano vaste e a tratti inesplorate le miniere della scultura italiana, se appena ci si discosti dai centri maggiori”. Già prima di Michelangelo, le pietre ornamentali di Carrara e Pietrasanta sono poste “al centro di una rete di rapporti che unisce artisti che vanno ed altri che vengono, papi e città, rivalità locali e relazioni internazionali”.
La precoce fama di queste pietre è trattata, nel volume in parola, dal saggio di Laura Cavazzini, che reca più di un esempio sulla fortuna del marmo apuano avanti il Rinascimento. Montanari legge qui la fine imminente della grande parentesi medievale del reimpiego dei marmi dell’Antichità, con un riferimento esplicito a Nicola Pisano e alla sua famiglia che avevano eletto Pisa a base operativa del rilancio post-antico delle cave di Carrara e di Pietrasanta. Segue un periodo fortunato per il marmo apuano, che uscito dalle proprie contrade, può finalmente percorrere le vie dell’acqua, giungere così ai grandi porti del Mediterraneo occidentale e risalire poi i fiumi navigabili, per diffondersi di città in città, soprattutto nella pianura del grande Po. Nella Bologna degli anni di Jacopo della Quercia, dopo aver seguito una delle innumerevoli vie del marmo, si va formando uno scultore di Pietrasanta, Domenico Pardini, a cui Andrea Tenerini attribuisce due lunette della facciata del Duomo della Terra natale, all’interno di un saggio dedicato agli artefici della famiglia di appartenenza.
Nella dimensione nazionale ed europea del marmo apuano si collocano altri saggi offerti dal volume “Nelle Terre del Marmo”, a cui Montanari ha dedicato una lettura attenta e un’analisi critica non di circostanza. Così per il lavoro di Alessandra Talignani sullo scultore Alberto Maffioli di Carrara e le sue vicende a Parma, Pavia e Cremona; lo stesso per Maria Falcone che ricostruisce le vicende della colossale e marmorea custodia eucaristica della Cattedrale di Genova; analoga cosa vale infine per Marco Campigli e Fernando Loffredo, i cui contributi ci portano entrambi in Spagna, dove giungono nel primo Cinquecento le opere in marmo di Carrara di celebrati scultori: nel primo caso sono quelle dell’Ordoñez e dei suoi aiutanti italiani verso Coca presso Segovia; nel secondo è la fontana di Malaga, conosciuta come “Fuente de Génova”, da attribuirsi a Gian Giacomo della Porta, assistito dall’ancor più grande figlio Guglielmo.
Montanari chiude la rassegna sui saggi del volume “Nelle Terre del Marmo” con due scultori fiorentini di diversa fama, che hanno intrecciato le loro vicende nella Versilia degli inizi del XVI secolo. Il meno conosciuto è sicuramente Donato Benti, a cui Michela Zurla dedica documentate e convincenti pagine, per una definitiva luce sulle opere “di questo artista che fece il viaggio contrario: lui, che nelle terre del marmo venne a vivere”. L’altro fiorentino, celebrato in vita e osannato in morte, è sicuramente Michelangelo Buonarroti. Caterina Rapetti ne ricostruisce il rapporto con Pietrasanta e le sue cave, rimontando i frammenti documentari soprattutto epistolari.
La chiusura della presentazione ha preso spunto da alcuni contenuti dell’appendice finale del volume, definita “un sobrio resoconto delle giornate del 2013”, ovverosia dell’omonimo Convegno che ha dato impulso alla successiva pubblicazione degli atti. Tomaso Montanari ha apprezzato o, quanto meno, si è detto confortato dalla volontà espressa dal Parco di dare sostegno a questo genere di studi, all’interno di un progetto strategico di “valorizzazione qualitativa” delle produzioni lapidee delle Alpi Apuane, considerato che la promozione di questo spessore culturale deve favorire la presa di coscienza dell’urgenza del risparmio di una risorsa non rinnovabile: il marmo.
Montanari si è augurato che la conoscenza della storia del marmo, delle sue terre e delle sue vie, sia il percorso più sicuro per giungere alla consapevolezza di un’inversione di rotta: “Conoscere il marmo e la sua storia per salvare le terre del marmo, e tramandarle al futuro”.



 



torna alla homepage